Lattanzi (candidata Premio Strega): “No pro-vita nei consultori e favorire congelamento ovuli”

Un romanzo che nasce dal dolore e che sembra un pugno nello stomaco. Pagine piene di rabbia, sofferenza interiore e forse paura. Pagine in cui si racconta una storia vera, vissuta sulla propria pelle, che ha lasciato ferite nel corpo e nello spirito. Un sogno irraggiungibile – quello di avere un figlio dopo averne persi per scelta due interrompendo le gravidanze – inseguito ricorrendo alle tecniche di procreazione di cui la medicina si è dotata. Tentativi diversi vissuti spesso in solitudine. Il tutto, però, invano. E’ la vicenda che Antonella Lattanzi mette in scena in ‘Cose che non si raccontano’, pubblicato da Einaudi, uno dei libri che compongono la dozzina finalista del premio Strega. Presentato da Valeria Parrella, il libro svela gli aspetti più complessi e nascosti della maternità e dell’aborto descrivendo, senza nulla tacere, il percorso fallito della procreazione assistita.

Conversando con l’Adnkronos, la scrittrice entra subito nel merito della questione lanciando un appello alle Istituzioni. Chiede, infatti, di rendere più agevole la tecnica del congelamento degli ovuli e di lasciare più libere le donne di scegliere se abortire o meno. “Penso – argomenta – che una donna, per forza di cose, si interrogherà sempre sulla maternità, trovandosi di fronte alla decisione di avere un figlio oppure no. Allora, la prima cosa che direi alle giovani donne è di congelare gli ovuli. E’ una cosa di cui nessuno parla. In questo modo, sarebbero liberate dallo sgomento di dover decidere per forza, e immediatamente, cosa fare. Un uomo non ha una data di scadenza ma una donna ce l’ha. D’altro canto, congelare gli ovuli costa molti soldi. Più che alle giovani donne direi quindi alle Istituzioni di rendere agibile e facile una possibilità del genere”.

Ma non basta: la scrittrice rivolge un altro appello. “Alle giovani donne che si trovano davanti al dilemma se abortire o meno – sostiene – direi di decidere senza farsi colpevolizzare da qualcuno. Soprattutto, ancora una volta, alle Istituzioni chiederei di non fare entrare i pro-vita nei consultori, assicurandosi che nessuno possa far sentire il battito del cuore del nascituro a una donna che ha deciso di abortire. Questo perché, se una donna ha deciso di farlo, lo fa con dolore”.

Sofferenza che la stessa Lattanzi ha vissuto nel corso della sua esperienza e che ha provato ‘confessando’ la propria storia. “I momenti più belli che ho passato sono stati quelli più tristi da raccontare. Non volevo scrivere un memoir o un diario, non volevo che questo libro fosse un pozzo in cui buttare tutta la mia tristezza. Avendo perso tutto non volevo perdere la scrittura, andando fino in fondo alle cose con sincerità”. L’autrice si “è calata in un universo orrorifico di cui non parla nessuno. Molte persone parlano dell’aborto, ma pochissime dei propri aborti”, afferma la Lattanzi secondo la quale si affrontano poco “i problemi della coppia, relativi al sesso e alla procreazione medicalmente assistita. Non si dice – scandisce – che cosa vuol dire abortire per scelta e cosa vuol dire subire un aborto”.

Non non si considerano mai, aggiunge, “quali e quante sono le violenze psicologiche e ostetriche messe in atto dai medici. Quella del corpo medicalizzato è una realtà che riguarda tutti anche gli uomini. Ogni donna, anche quella che con estrema facilità è rimasta incinta e ha fatto un figlio, ha subito della violenza ostetrica”, evidenzia. Una realtà tanto presente nella nostra società quanto spesso ignorata o nascosta. Un universo femminile, attraversato dalla sofferenza e dalla solitudine, che sembra non avere voce. “Siamo – osserva la romanziera – tendenzialmente un genere che rimane muto. Io sono rimasta muta mentre mi succedevano queste cose. Poi, però, ho pensato a tutte quelle donne che non avevano voce. Io ce l’avevo e dovevo usarla”.

La storia intima e personale della Lattanzi si è fatta strada e, passo dopo passo, è arrivata nella dozzina del più prestigioso alloro letterario italiano. Che emozione le suscita il fatto di essere al premio Strega? “Sono felicissima di esserci, era una cosa che volevo da molto tempo. Per me la letteratura – risponde – ha sempre a che vedere con l’amore e anche questo premio ha qualcosa a che vedere con l’amore”. Ora è in dozzina, dove vorrebbe arrivare? “ Chiaramente, vorrei arrivare fino alla fine”, ammette sorridendo.

(di Carlo Roma)

(ADNKRONOS)