Nuovo studio, ‘il lago della Gioconda si trova nel paesaggio di Bobbio’

La ricercatrice di storia dell’arte Carla Glori sostiene di aver individuato nel paesaggio reale di Bobbio, in provincia di Piacenza, tredici punti di riferimento presenti nella Gioconda di Leonardo da Vinci, il celebre dipinto custodito al Louvre di Parigi: tra questi ha identificato l’affascinante lago alla destra della Monna Lisa, sul quale molte sono le ipotesi. “La mia ipotesi è caratterizzata da concretezza – dichiara Glori all’Adnkronos – poiché il ‘punto di vista’ della ricerca è fissato presso una finestra del castello Malaspina Dal Verme, da cui l’area della sorgente salsoiodica di Piancasale – che identifico con lo slargo acqueo dipinto a sinistra della dama (a destra di chi guarda) – è visibile a occhio nudo, come si può riscontrare dalla foto panoramica del paesaggio”.

Il tempo ha reso irriconoscibile quel posto leggendario denominato “Piano e Casa del sale”, dove oggi resta solo un pozzetto del sale a ricordo dell’attività dei monaci di San Colombano (beneficiari dal 622 delle antiche saline). “La sorgente d’acqua – spiega la ricercatrice – era utilizzata per la produzione del sale e per scopi terapeutici già al tempo dei Romani e dei Longobardi, ma all’epoca di Leonardo anche le acque termali salso-bromo-iodiche-radioattive di Sant’Ambrogio in Piancasale, usate per curare, erano diventate oggetto di superstizione (in Bobbio le acque di San Martino, Rio Foino e la cascata del Carlone hanno una componente solforosa che allora si credeva diabolica)”.

All’inizio del secolo scorso, in quella zona sorgeva lo stabilimento termale di Piancasale, aperto dal marchese Obizzo Landi Malaspina (1896-1903), poi rimesso in funzione dall’avvocato Pietro Renati (1907), fino alla sua chiusura nel 1928, anno in cui l’abbondante flusso dell’acqua si esaurì, a causa della costruzione in Val Trebbia di impianti idroelettrici mai completati. “La foto delle prime storiche Terme in località Piancasale suscita un effetto surreale – illustra la dottoressa Glori all’Adnkronos -perché la trasformazione del paesaggio rende difficile credere che quella zona coincida con la distesa acquea da sempre ritenuta essere un lago o una creazione visionaria d’artista”. La città all’epoca viene descritta come ricchissima di acque e la campagna era brulla e selvaggia, molto diversa da quella attuale, che è verdeggiante e più attraente, ma priva dell’aura misteriosa del passato.

E tuttavia sono ancora molte le tracce che consentono di identificare quel luogo: le memorie storiche e d’archivio, l’indicazione sulla carta tecnica regionale n° 197011 della sorgente salsoiodica in coincidenza con quell’area, e, a conferma della sua localizzazione, la ricostruzione in 3 D dell’architetto piacentino Angelo Bellocchi, oltre alle fotografie e alle riprese satellitari di Google Earth.

La ricercatrice aggiunge: “Non sappiamo se lo slargo acqueo fosse all’epoca così esteso come appare nel dipinto, ma quella zona è di poco sopra una vasta ansa del fiume Trebbia, a quel tempo ricchissimo d’acqua e soggetto a massive esondazioni, nel quale si riversavano le acque termali: quella massa acquea doveva costituire motivo di ispirazione per l’immaginario artistico di Leonardo, i cui studi vertevano sulla centralità delle acque”.

La tesi che colloca in Bobbio il paesaggio della Gioconda si basa anche sulla ricostruzione storica che identifica la modella in Bianca Sforza (la primogenita del Moro morta misteriosamente), e che prova i legami del marito Galeazzo Sanseverino e degli Sforza col castello che fu la roccaforte dei Dal Verme. Inoltre il Sanseverino era il mecenate di Leonardo durante il suo primo soggiorno milanese (1482-1499).

Nel sistema delle 13 “coordinate” descritte dalla ricercatrice assumono importanza pure le peculiarità geologiche di Bobbio. Glori precisa: “Su questo argomento sono stati diffusi in rete commenti inesatti e svianti, ignorando che la finestra tettonica di Bobbio è citata nei miei libri e articoli dal 2010 in poi, così come gli studi sulle tipiche ofioliti bobbiesi e sulla singolarissima Pietra Parcellara simbolo della città; i calanchi, presenti sulla sponda rocciosa del ponte Gobbo, attestano compatibilità con la massa scura rocciosa su cui poggia il ponte dipinto. Inoltre, nel 2022 una equipe internazionale di paleontologi, (tra cui Andrea Baucon e Gerolamo Lo Russo che studiano da decenni quel territorio), ha reperito nelle vicinanze di Bobbio i medesimi icnofossili descritti nel Codice Leicester, arrivando a definire quell’area ‘il laboratorio paleontologico di Leonardo'”.

Uno dei tredici elementi del paesaggio che dal 2011 fa parte della ricerca è il ponte Gobbo, indicato come il ponte della Gioconda. Esistono molti progetti tecnici che

consentono di datare la rapida moltiplicazione nel tempo dei suoi archi ; tra questi, viene pubblicato il progetto fino ad oggi inedito dell’architetto bobbiese Antonio Maria Losio, (1741-1808), quale prova che fino all’inizio del XIX secolo non erano iniziate opere per l’allungamento del ponte di Bobbio, il quale perciò,aveva conservato inalterato lo stesso numero originario di quattro archi piccoli più il grande arco. “Il confronto, necessariamente approssimativo, tra il ponticello in rovina di Leonardo e lo schema tecnico del ponte Gobbo del Losio dimostra similitudini – osserva Glori – tenendo conto che dal 1472 al 1509 i suoi quattro archi più piccoli erano strutturalmente danneggiati e l’arco grande permaneva crollato”. Secondo la ricostruzione storica operata, Leonardo ha dipinto il ponte di Bobbio nel suo stato di devastazione intorno al 1496, data del ritratto di nozze della giovane Bianca Sforza (la fanciulla del primo ritratto nascosto, scoperto nel 2015 con tecnologia LAM da Pascal Cotte sotto l’enigmatica icona del Louvre).

(ADNKRONOS)